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“Mirco Di Trizio”: un giovane talento legato alle tradizioni

“Mirco Di Trizio”: un giovane talento legato alle tradizioni

Essere un giovane talento, specialmente nel difficile e variegato mondo della gastronomia, non è facile. Affermarsi è ancora più faticoso.

C’è riuscito Mirco Di Trizio, chef del ristorante “Taverna Latina” di Roma, romano, di soli 25 anni, che non ha paura di confrontarsi con chef più esperti e conosciuti di lui.

Legato fortemente alla cucina tradizionale, in particolare a quella romana, è sempre attento nel suo lavoro a non stravolgere la materia prima e a mantenere l’impronta tipica delle sue radici. Ama sperimentare nuove tecniche di cottura per le ricette gastronomiche che prepara e a valutarne l’evoluzione durante la cottura. Lo abbiamo intervistato per capire come interpreta la cucina moderna e cosa pensa del fenomeno mediatico che da alcuni anni ha quasi monopolizzato TV e stampa.

Come le è nata la passione per la gastronomia?
La passione per la cucina non è nata subito, come la maggior parte dei ragazzi che devono prendere una nuova strada e pensare al proprio futuro ero molto indeciso e ho scelto quella che mi suscitava più curiosità e interesse: la cucina.

La gavetta è talmente dura che rischi di non trovare molte soddisfazioni in quello che fai; è più il sacrificio che il guadagno. Ma più passa il tempo e più diventi parte integrante di quello che fai e quasi senza accorgertene ti innamori di questo lavoro e adesso quando mi chiedono “che lavoro fai Mirco?” io affermo con orgoglio: IL CUOCO!

Il suo percorso professionale qual è stato?
Come la maggior parte degli chef ho iniziato a cucinare presso l’istituto alberghiero dove studiavo, il 1° IPSSAR di Tor Carbone a Roma. Ho dei bellissimi ricordi, e devo ringraziare la formazione professionale che mi è stata insegnata perché grazie ad essa mi sono formato al meglio.

Ho iniziato il mio percorso professionale in strutture importanti come ”Le Bouchon” dell’ Hotel Cicerone, e durante il periodo scolastico mi davo da fare il fine settimana in qualunque ristorante che in quel momento avesse bisogno di un commis. Volevo mettermi in gioco e imparare subito qualcosa di concreto, ma la strada per diventare chef è molto lunga.

Una volta diplomato iniziai a lavorare in importanti ristoranti e alberghi romani come il ”Gemma”, l’Hotel “Quirinale”, e l’”Eurostars Roma Aeterna”, lavorando a fianco di importanti chef, da cui ho imparato molto, sia dal punto di vista professionale che umano. Mi è stato insegnato che prima di saper cucinare bisogna “saper stare” in una cucina, e oggi che sono lo chef del ristorante “Taverna Latina” di Roma, cerco di migliorare giorno dopo giorno e di dare qualcosa di importante nel mio lavoro.

Ormai i Media parlano continuamente di cucina, con trasmissioni televisive, gare tra cuochi più o meno improvvisati, articoli e libri scritti da personaggi che fino a poco tempo fa nemmeno si sapeva che avessero la passione per i fornelli… crede che sia utile a chi ai “fornelli” lavora davvero come lei?
Ora più che mai la cucina è diventata un merchandising, fa tendenza e quindi si punta agli incassi e “all odiens”, ma la cucina non è quello che si vede in tv. Quella è solo una cornice ben messa, mentre questo lavoro è sacrificio e dedizione, con persone preparate che lavorano molte ore.

Credo che se dovessero fare un reality sul vero lavoro che facciamo giorno dopo giorno dubito che ci sarebbero tutti
questi appassionati. Però devo anche dire che ci sono anche molti professionisti che cercano di far conoscere il nostro mondo e di importanti chef che si esprimono con grandi piatti.

Il loro esempio mi spinge a dare il massimo e a mettermi in gioco per raggiungere alti livelli professionali e credo che spesso essi inviano un messaggio positivo agli altri chef e a chi opera nel mondo della gastronomia.

Le sue ricette sono di tipo tradizionale o si ispirano a qualcosa di innovativo?
Io parto sempre dalla tradizione. Viviamo in un paese fondato sulle tradizioni e io mi ispiro molto a quella romana; ci sono cresciuto e mi diverte molto dare un tocco personale, metterci del mio, dare nuove consistenze e creare nuovi abbinamenti. Tutto questo rende “tuo” il piatto e non c è niente di più bello per uno chef che “sentirti” parte di esso.

L’ispirazione viene ovunque, viaggiando, cucinando, conoscendo nuovi prodotti e pensando a come migliorarli e abbinarli. Anche passeggiando può arrivare l’ispirazione e bisogna solo essere pronti a prenderla al volo.

Secondo lei, quali sono le caratteristiche che un buon Chef deve possedere?
In primis la passione anche se dobbiamo essere consapevoli che è pur sempre un lavoro e che la passione va e viene.

A volte sei entusiasta di cucinare, a volte è l’ultima cosa che vorresti fare. Molto importante per me è il carattere, bisogna avere molta personalità per stare in cucina.

Credetemi… non è un lavoro per tutti; molti possono cucinare ma non tutti possono diventare chef e gestire una correttamente una cucina.

Lei è molto giovane e comunque già stimato dai sui colleghi. Vuole dare dei consigli ai ragazzi che come lei desiderano intraprendere una carriera simile alla sua?
La maggior parte delle domande che fanno i ragazzi è quanto guadagni? Non c’è nulla di più sbagliato che pensare per prima cosa al denaro. Questo non è un lavoro che si fa per soldi, lo fai perché ti va di farlo.

Il mio consiglio è: vivete per ciò che vi piace fare e se la vostra strada sarà quella della ristorazione e la percorrerete con passione e dedizione avrete grandi soddisfazioni.

Quali esperienze professionali vuole avere per crescere professionalmente e in particolare ha un sogno nel cassetto?
Una cosa che mi manca e vorrei fare è un esperienza all’estero e se dovessi scegliere una meta sicuramente l’America. Mi ha sempre affascinato, quindi prima o poi spero di partire e lavorare con grandi professionisti.
Il mio sogno? Continuare a migliorarmi, imparare il più possibile e un giorno insegnare questo lavoro, magari dove ho iniziato io. Perchè no?

Ennio Baccianella

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